Corpi egemoni, corpi esclusi: come il queer può liberare la maschilità

Tristan Guida
4 min readApr 20, 2021

[TW: stupro, violenza sessuale, abuso]

In occasione della giornata internazionale di visibilità trans* lo scorso 31 marzo avevo condiviso una riflessione sul potenziale trasformativo della trans-maschilità nelle pratiche di liberazione femministe. Alla luce delle dichiarazioni rilasciate da Beppe Grillo sull’indagine aperta dalla Procura di Tempio Pausania a carico del figlio — accusato insieme ad altre tre persone di violenza sessuale di gruppo — e rilanciate dalla maggior parte degli organi di informazione nazionale senza alcun trigger warning a tutela dell’integrità psico-fisica deә survivor, ritengo opportuno utilizzare il mio posizionamento di persona non binaria trans-masculine per riprendere le basi teoriche di quel manifesto, cominciare a svilupparne alcuni aspetti a partire dalla mia esperienza del genere come costrutto bio-psico-sociale e indagare delle proposte da condividere nei nostri percorsi di autocoscienza, decostruzione e re-incorporazione della maschilità.

In un passaggio di “King Kong Theory” (tradotto in Italia da Maurizia Balmelli per Fandango) Virginie Despentes — scomponendo le azioni, le emozioni e i pensieri archiviati nella sua memoria sensoriale prima, durante e dopo lo stupro subito a 17 anni — osserva che la condizione di prossimità con i corpi degli stupratori ha radicalmente alterato il suo modo di percepire, leggere e orientare il proprio corpo in relazione a quello degli uomini: “Corpi di uomini in un ambiente chiuso dove siamo bloccate, insieme a loro, ma diverse da loro. Mai come loro, con i nostri corpi di donne. Mai al sicuro, mai uguali a loro. Noi apparteniamo al sesso della paura, dell’umiliazione, il sesso estraneo. Ѐ su questa esclusione dei nostri corpi che si costruiscono le virilità; la loro famosa solidarietà maschile, è in questi momenti che si stringe. Un patto fondato sulla nostra inferiorità”. Le donne cisgender e transgender, così come le persone non binarie assegnate femmine alla nascita incorporano il percepito individuale e collettivo di un’alterità che, contrariamente all’interpretazione propinata dalla militanza essenzialista, non è affatto anatomica, ma interamente simbolica. Quando ci interfacciamo con il corpo degli uomini, percepiamo un differente gradiente di potere sedimentato nel “corpo maschio” attraverso un processo politico di “naturalizzazione” della sua superiorità di genere e dei privilegi a questa associati: è in tale diversità che si sostanziano e si riproducono le dinamiche di marginalizzazione, sottomissione e sfruttamento a danno di tutte quelle categorie che falliscono la maschilità etero-cis-allo-normativa.

Pur scrivendo queste righe da persona che sempre più va consolidando il desiderio e il bisogno di intraprendere un percorso medicalizzato di affermazione di genere FtM, spesse volte mi scopro a relazionarmi al corpo simbolico degli uomini con una dolorosa combinazione di paura, rabbia ed estraneità. Un sisma dis-identitario mi destabilizza ogni volta che rifletto su quanto la volontà di potenza agita dagli uomini su ogni “id sesso-politico" costruito come diverso da e inferiore a loro sia inscritta nei loro corpi: tutte le risorse materiali e immateriali che compongono l’ecosistema sociale vengono legittimate a occupare uno spazio soltanto se servono a preservare la permanenza degli uomini ai vertici della gerarchia patriarcale. Se la mia identità di genere non mi ha mai permesso di abitare appieno il femminile e rivendicare l’appartenenza alla categoria culturale di donna, la maschilità come sinonimo di oppressione delle vulnerabilità, di educazione attraverso la coercizione, di mutismo emotivo e di cancellazione della biodiversità del mondo umano, animale e vegetale non potrà mai incontrare le mie istanze di liberazione dall’obbligo di normalizzazione che a oggi è prerequisito di intellegibilità sociale per le minoranze sesso-politiche. La maschilità fascista, che nel discorso pubblico sorveglia e punisce chi osa attraversare le frontiere del sesso e del genere, è il golden standard a cui riportare ogni forma di varianza rispetto all’unità minima di soggettivazione, il maschio bianco eterosessuale, e di organizzazione sociale, identificata nella famiglia nucleare uomo-donna-prole, strutturalmente sclerotizzata a causa della fissità dei ruoli e dello squilibrio dei poteri tra le parti.

La cultura dello stupro — di cui il video di Beppe Grillo rappresenta un disgustoso caso di scuola — non si esprime soltanto attraverso l’esercizio materiale della violenza sessuale, ma si riproduce nella naturalizzazione del diritto all’abuso fisico, psicologico, verbale ed economico degli uomini suә bambinə, sulle donne, sugli uomini gay, sulle persone trans*, asessuali, intersessuali, sui corpi disabili e sugli animali, laddove la maschilità si costruisce esclusivamente per il tramite della sopraffazione. Sganciare l’esperienza della maschilità dalla ricerca del consenso dell’altrә azzera le responsabilità di genere degli uomini e complica o impedisce la fioritura di maschilità partigiane, da intendersi come resistenti, nate dall’urgenza di smantellare un sistema-pensiero guidato dal principio di scarsità, che ci costringe a relazionarci in verticale gli uni rispetto agli altri, ci educa all’accaparramento delle risorse piuttosto che alla loro redistribuzione, ci indottrina a quel culto della produttività come misura unica del valore che la società capitalista ha mutuato dal regime politico eterosessuale binario.

La messa in discussione dell’etero-cis-patriarcato non potrà prescindere da una riformulazione radicale della maschilità, un lavoro che non deve esser certo demandato alle donne e alle altre minoranze che dal “corpo maschio” istituzionalizzato vengono quotidianamente abusate. Questo compito spetta agli uomini cisgender e transgender che vedono nelle proprie compagne di lotta e di vita delle persone loro pari, che credono nella piena autodeterminazione dell’individuo, nel rispetto del suo spazio psico-fisico, nell’ascolto ancor prima del dialogo come strumento di mediazione e scioglimento del conflitto. Ripensare la maschilità implica innanzitutto coltivare un genuino desiderio di bene comune fuori dalle polarizzazioni noi/loro, dentro/fuori, uguale/diverso. Per questo sostengo che noi ragazzi FtM e persone enby in transizione sociale e/o medicalizzata, abitando dei corpi che custodiscono la memoria di quell’alterità e di quell’esclusione, possiamo fornire un punto di vista unico, di chi scrive tra due mondi, in tutti e due o in nessuno dei due. Rimbocchiamoci le maniche.

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Tristan Guida

Non binary (he/him they/them). Radical left-wing. International politics addict. Writing on body image, eating disorders and gender identity. IG @giu_stap_punto