Christa Couture: un corpo intersezionale

Tristan Guida
2 min readApr 20, 2021
Christa Couture e la sua compagna Marsha Shandur.

Nell’ultima puntata del podcast @livinginthisqueerbody Asher Pandjiris intervista la cantautrice, scrittrice e performer canadese mixed race Christa Couture sull’album “Safe Harbour” (nostalgicy dei “Little Earthquakes” di Tori Amos, buttateci un orecchio) e sul memoir “How to Lose Everything”, entrambi usciti nel 2020 tra un’ondata pandemica e l’altra. Nato come diario terapeutico per metabolizzare il lutto dopo la perdita di due figlə, il libro si è presto trasformato da un lato in un dialogo sensoriale con e contro un corpo situato all’intersezione tra disabilità, queerness e invisibilizzazione della diversità razziale, dall’altro in un viaggio dentro l’infinita varietà di configurazioni e significati con cui la genitorialità può essere incorporata e praticata sulla base del rispetto, del consenso e dell’autodeterminazione.

A questo proposito la domanda con cui Asher apre l’intervista è spiazzante: “Qual è il tuo primo ricordo dell’avere un corpo?” Christa, che a 13 anni ha subito l’amputazione di una gamba a causa di un cancro osseo, risponde che non è in grado di rievocare un immagine del proprio corpo sano, perché la malattia per lei ha sempre rappresentato una dimensione strutturale dalla corporeità, anche se con il tempo ha coltivato gli strumenti emotivi e cognitivi necessari a spezzare l’equazione paziente = patologia e a considerare la disabilità come un singolo anello del proprio processo di soggettivazione nello spazio sociale. Non ve ne parlo per fare inspirational porn, tutt’altro. Christa, che è molto franca sulle criticità derivanti dall’esperienza di abitare un corpo disabile in un sistema-mondo strutturato per impedirti di accedere alle sue risorse politiche, economiche e affettivo-relazionali, riflette sulla sofferenza vissuta da bambina nell’essere allo stesso tempo iper-cosciente rispetto alla propria condizione, ma del tutto privata della possibilità di autodeterminare il suo percorso terapeutico.

È una questione etica complessa, ma merita di essere posta perché si inserisce in quello studio sulla decolonizzazione della genitorialità che giorno dopo giorno approfondiamo per capire se e quali genitori possiamo diventare.

--

--

Tristan Guida

Non binary (he/him they/them). Radical left-wing. International politics addict. Writing on body image, eating disorders and gender identity. IG @giu_stap_punto